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Perché i migranti chiamano le famiglie e dicono che va tutto bene?

Sophia pubblica i risultati della ricerca sul fenomeno migratorio condotta lo scorso anno su circa 1.600 studenti di Dakar: la metà degli studenti sovrastima lo stipendio che percepirà e la probabilità di ottenere i documenti per vivere in modo regolare in Europa.

La ricerca ha avuto ad oggetto l’efficacia delle campagne informative in Senegal ed è stata svolta dalla dottoressa in Economics Erminia Florio, in collaborazione con L’HEC di Montréal e l’università “Tor Vergata” di Roma durante la realizzazione del progetto “Educare Senza Confini” realizzato a Dakar da Sophia per formare 4.000 studenti di 10 istituti di istruzione superiore sul tema della migrazione.

Voglio condividere in questo articolo le riflessioni che la ricerca ha stimolato in me. Ho avuto l’occasione, collaborando con Sophia, di lavorare alla pari con alcuni migranti, di chiedere loro come stavano e di vederli vivere la loro quotidianità. 

Mi sono sempre domandato perché chi è in Italia irregolarmente e vive una forte condizione di emarginazione sociale, tra mille difficoltà per ottenere un lavoro dignitoso e trovare una dimora fissa, quando chiama a casa dice che va “tutto bene”. 

E’ erroneo supporre che per un migrante la vita in Italia sia migliore di quella che avrebbe vissuto nel suo paese d’origine: dalla ricerca emerge infatti che non è la fascia di popolazione più misera che desidera partire, anche in modo irregolare, ma sono quei giovani che potrebbero rimanere e vivere una vita dignitosa nel paese di provenienza.

Il campione della ricerca è eterogeneo per composizione sociale, eppure oltre due terzi dei ragazzi ha già considerato l’idea di migrare e, in particolare, vede molto alta la probabilità di partire entro i prossimi cinque anni. Più di un terzo ha dichiarato che considererebbe strade alternative se scoprisse di non avere i requisiti per migrare in modo regolare.

Dalle analisi emerge inoltre che chi sceglie di partire sovrastima le opportunità che avrà nel paese d’arrivo: la metà di loro si aspetta di guadagnare in Europa più di 1260 euro al mese, un quarto addirittura più di 1780 e di ottenere con più probabilità della realtà i documenti europei.  

Dunque, oltre alle oggettive difficoltà economiche e sociali e ai probabili traumi riportati durante un viaggio irregolare, un giovane migrante si trova anche a fronteggiare la delusione delle sue aspettative. Eppure nei confronti della famiglia d’origine, continua a mostrarsi soddisfatto e a recitare il ruolo di chi “ce l’ha fatta”, fino a convincersene egli stesso.

Quando lavoravo con A. M. gli chiedevo spesso se era felice. A. M. lavorava tutti i giorni senza mai riposare, faceva due lavori umili al giorno convivendo con il rischio di essere cacciato, dormiva in posti diversi, si era sposato online con una ragazza senegalese e dopo due anni ancora non l’aveva vista. 

Alla mia domanda rispondeva sempre di sì: “sono felice”. Gli ho chiesto perché e lui mi ha risposto che “può mandare tanti soldi alla famiglia”.

Anche U.G. non ha giorni di riposo. Prima dell’incontro con Sophia era in una condizione di abbandono e con problematiche di salute importanti. Quando gli chiedo cosa lo spinge ad andare avanti mi risponde che è il suo ruolo familiare, nel suo paese di provenienza funziona così. Lavora ogni giorno tutto il giorno e non c’è stata una volta in cui non mi abbia detto che va tutto bene.

Il motivo per cui A.M. e U.G. si ritengono soddisfatti di condurre una vita finalizzata a mandare soldi alla propria famiglia a discapito della loro condizione di vita, è che dietro al loro viaggio c’è uno sforzo economico, un investimento di un’intera famiglia che lo ha finanziato.

Un migrante non porta con sé solo le sue aspettative ma anche quelle di un intero nucleo familiare, aspettative che possono trasformarsi in una vera e propria pressione, alla quale non riesce a dire che le cose non vanno bene. A. M. dice: “Quando ho deciso di venire in Italia non avevo più nessuna speranza, ho deciso di sacrificare la mia vita”. Dopo aver fatto una scelta che mette a repentaglio la sua vita, dopo che un’intera famiglia ha investito su di lui e si aspetta un ritorno economico, è difficile ammettere che sta male, che l’investimento non è riuscito. M. N. sosteneva che molti dei migranti in Italia sono in una “gabbia mentale” e che “magari dormono fuori ma non ammettono di stare male.”

Dietro al “va tutto bene” dei migranti può esserci quindi un mondo complesso da comprendere per noi. E non solo: più si riporta una realtà errata nei paesi di provenienza, più si rinforzano le aspettative e l’immaginario che i giovani senegalesi hanno e che li spingono a partire senza essere consapevoli di cosa vuol dire migrare, soprattutto in maniera irregolare.

Dallo studio emerge infatti che le testimonianze online dei migranti senegalesi residenti in Italia hanno impattato significativamente sulle intenzioni di emigrare irregolarmente degli studenti, contribuendo a ridurle. Gli studenti coinvolti, inoltre, hanno dimostrato un’accresciuta conoscenza degli aspetti economici e legali del fenomeno migratorio, come della percentuale di migranti senegalesi che riesce a ottenere i documenti in Europa. 

I risultati della ricerca sono preziosissimi per lo sforzo educativo di Sophia in Senegal, volto a provocare un cambiamento nella percezione del fenomeno migratorio negli studenti delle scuole superiori della regione. La prossima edizione del progetto, pianificata secondo i suggerimenti della ricercatrice, terrà uno spazio per ulteriori studi affinché ci sia sempre più chiarezza sulle motivazioni e sui desideri dei giovani migranti.

Puoi leggere la ricerca integrale cliccando qui: Report Educare Senza Confini 2022.