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Marco, il passo verso l’indipendenza

Dare ascolto alla propria inquietudine, mollare la strada vecchia per un salto nel buio. Di storie come queste ne abbiamo tante noi di Sophia ed è proprio questo il filo, il logos, che unisce ognuno di noi. L’ascolto di sé, lasciarsi accompagnare nell’ascolto e “gettare le reti a destra” sono il primo passo di un’avventura straordinaria e… quando si vede una cosa straordinaria non vediamo l’ora di condividerla.

“Gettare le reti a destra” è un fatto evangelico che evoca qualcosa di inusuale, di strano e inconcepibile, un invito ai pescatori, dopo una nottata di fallimento, a fare un gesto all’apparenza controproducente. Ma sulla fiducia i pescatori fanno come dice Gesù. E poi il finale con la pesca miracolosa ecc, ecc…

Non sembra strano che un ragazzo biologo, con un lavoretto in un laboratorio, molli tutto per andare a fare l’operaio, e per di più un operaio che fa pulizie di filtri e membrane di impianti di depurazione? 

Ma partiamo dall’inizio. Due i moti interiori, fastidiosi, che lo agitano: l’ansia al mattino che lo accompagna a lavoro, la rabbia la sera che lo riporta a casa. Un’inquietudine sempre più rumorosa che vuole iniziare ad ascoltare, e una passione sempreverde che è sempre stata lì: l’informatica, in particolare lo sviluppo software/web. Marco, così si chiama, desidera muoversi, cerca un colloquio con i tutor del progetto Elpis per iniziare a verbalizzare questo suo disagio. Magari loro lo aiuteranno a trovare qualcosa in linea con le sue aspirazioni. “Guarda Marco, una buona notizia, c’è disponibilità nella nostra area tecnica, si è liberato un posto per andare a pulire le membrane. Vuoi iniziare?” 

“Membrane? Io operaio?” Marco ha studiato, ha viaggiato pure tanto per studio, sa le lingue, ma sa che c’è da fidarsi, che questo è solo il primo passo per affrancarsi e per iniziare qualcosa di nuovo. Tant’è che in tre giorni dice sì, lascia il laboratorio, fa pure le valigie e va via di casa. In un attimo quelle reti di aspettative e idee rigide su di sé le getta in un’altra direzione. Fa l’operaio per guadagnarsi l’affitto, per pagarsi il suo nuovo percorso di studi, per avvicinarsi al suo sogno, per la sua libertà.

Dopo l’iniziale entusiasmo, comincia ad avvertire la fatica del lavoro manuale, le prospettive di nuovo cambiano, conosce i colleghi, per lo più migranti, che con lui vogliono affrancarsi da una storia dolorosa e un presente molto difficile. Conosce Rupon, un ragazzo bengalese che dopo due anni in Italia è incapace di relazionarsi e di dire mezza parola in italiano. Ecco che in lui rivede sé stesso nella sua vecchia situazione, incapace di dire la sua, mero esecutore di compiti e mansioni su cui non ha mai avuto margine di pensiero, completamente remissivo. Inizia ad avvicinarsi ad insegnargli in maniera, a volte anche goffa, parole in italiano. Da cose semplici a cose serie. Si accorge che nessuno si è occupato di questa cosa finora. Rupon lo tiene legato a questo lavoro, ci si affeziona. Mentre nel corso dei mesi diventa sempre più difficile conciliare lavoro e studio, ha un’idea: propone al suo tutor di far diventare questo il suo lavoro: insegnare la lingua in maniera sistematica. Il tutor percepisce la verità delle sue intenzioni e la necessità oggettiva di far fare un salto a Rupon, e accetta. La sua routine si rivoluziona intorno a questa nuova proposta. Al mattino studia, il pomeriggio fa studiare Rupon. 

Qual è la morale di tutto questo? Al di là che Rupon sia diventato più autonomo in tutto e che abbia trovato un altro lavoro, il cambiamento in Marco è stato molto profondo. Mentre prima subiva il lavoro, oggi può dirsi fiero di sé stesso perché si riconosce di avere avuto l’intuizione di vedere un bisogno, di capire come soddisfarlo e di proporre una soluzione per cui è venuto anche remunerato. Grazie all’accompagnamento e alle possibilità che Sophia gli ha messo a disposizione, grazie al suo coraggio di esporsi e alle sue intuizioni, ha trovato il modo e l’occasione di esprimere cosa volesse fare, ha terminato i suoi studi nell’ambito per cui sentiva una forte passione e ora cerca con serenità una occupazione lavorativa in linea con i suoi sforzi.

“Rupon mi chiama con un termine che nella sua lingua vuol dire “maestro”, una figura molto riconosciuta, ma la verità è che io sono molto riconoscente a lui, perché è lui che ha accolto la mia proposta, mi ha permesso di concludere i miei studi, di uscire dalla mia situazione faticosa. Oggi guardo altri ragazzi come lui, e Roma ne è piena, e li vedo con occhi diversi. Oggi, mi riconosco il merito di saper leggere la realtà e di saper proporre una soluzione, per me stesso e per chi mi sta intorno. Ho capito che posso accettare di fare cose di cui in quel momento non trovo il senso per poi trasformarle in un bene maggiore. Ho fatto come ha fatto con me il tutor di Sophia, ha ascoltato un bisogno e ho proposto una soluzione. Raccontando la mia storia, mi faccio ogni volta un regalo, perché riascoltandomi assaporo ogni volta la mia libertà.”